LO STATO D'ASSEDIO
di Albert Camus

elaborazione drammaturgica
di Giampiero Cicciò e Marco Carroccio

Regia: Giampiero Cicciò

Ho letto “Lo stato d’Assedio” di Albert Camus molti anni fa, mentre ero allievo della Bottega Teatrale di Firenze. Ero lontano dalla mia città, Messina, e lontano dal mio mare. Lontano da una città che mi stava stretta e lontano da quel dono che lo stesso mi ha sempre fatto amare Messina: la vista del mare. In questo testo di Camus, su tutto domina il mare. Un mare che si oppone alle numerose prigioni che il mondo o gli uomini preparano all’uomo. Un Mediterraneo di incombente antichità che ci racconta la Storia, che è un invito a correre incontro al vento, al sale, per non infettare la futura Storia.

 E la collera di questo mare è la nostra e nostro è il desiderio profondo di una terra senza muraglie e senza porte. Così è il mare. Ma siamo fatti al tempo stesso di azzurro e di abissi, di cielo e di malattie. E il mondo che invecchia può solo sognare onde cullanti, spiagge vergini in cui la sabbia ha la freschezza di labbra giovani. In Camus c’è anche questo dolore: la consapevolezza che il germe della Peste non morirà mai malgrado spesso l’uomo tenti di guarire.

La Peste, la Dittatura, il Potere degli uomini che schiaccia altri uomini, sono mostri che cambiano faccia, che si imbellettano per camuffarsi e aprono le loro dentature orribili in sorrisi accattivanti e simpatici. Camus ci dice che bisogna comunque brandire la spada: lottare con amore e con la fiducia nella libertà. Il teatro è anche questo. E’ divertimento e rivolta, bellezza e specchio delle nostre brutture, buio e luce delle nostre città.

Giampiero Cicciò

    

 

 

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